Ormai da giorni stiamo affrontando un’emergenza sanitaria particolarmente grave che sta modificando le nostre abitudini di vita, che ci costringe nelle nostre case e ci allontana dai nostri affetti più cari. Tutta Italia e la maggior parte degli Stati europei stanno sperimentando delle misure limitative della libertà personale e della libertà di circolazione. Ci viene chiesto di stare in casa, di uscire solo se necessario, di coprirci il volto con una mascherina, di evitare abbracci e strette di mano, di lavarci spesso le mani e di mantenere delle distanze interpersonali di almeno un metro[1]. Per la prima volta dalla scomparsa dei regimi autoritari abbiamo delle imposizioni che limitano fortemente le nostre libertà e le nostre abitudini, pur senza aver commesso nessun crimine, per la necessità di salvaguardare la salute pubblica. In un certo senso sembra quasi di stare in carcere…
Già, il carcere. Un luogo apparentemente chiuso, con delle mura che lo circondano alte e, a prima vista, impenetrabili, in cui veramente le libertà personali e di circolazione di ogni detenuto vengono revocate, sospese e limitate in conseguenza della – presunta od accertata – responsabilità personale nella commissione di un reato. Il carcere è un luogo che molto spesso viene dimenticato e di cui non ci si interessa: chi è in carcere ha commesso un crimine ed ha violato la fiducia che lega la nostra comunità, per questo motivo in molti ritengono non essere così importante occuparcene. L’unica cosa che conta – pare – è proibire a chi si è macchiato di una tale condotta illecita di ledere nuovamente alla comunità e farlo pagare per ciò che ha commesso. Se ciò deve avvenire in maniera proporzionale, rieducativa o rispettosa dei suoi diritti e della sua dignità, poco importa.
Tralasciando l’ampio discorso sulla pena detentiva, sulla rieducazione e sulla antica visione carceocentrica della pena, in questo momento di emergenza sanitaria, possiamo veramente non occuparci del carcere e far finta che esso e le persone al suo interno non esistano?
Secondo i dati raccolti dal Ministero della Giustizia i detenuti in Italia sono 60971 di fronte ad una capienza regolamentare degli istituti penitenziari pari a 50692 posti [2]. Il sovraffollamento nelle carceri italiani, nonostante la condanna della Corte Europea dei Diritto dell’Uomo [3], è evidente. A ciò si devono aggiungere: la carenza di servizi igienico – sanitari; l’insufficienza e la distribuzione disomogenea dell’assistenza medica ed infermieristica; la mancanza degli strumenti e degli spazi tipici della medicina d’urgenza e della terapia intensiva; infine, la presenza all’interno degli istituti di detenuti con pregresse malattie cardiache e respiratorie, oltre che tossicodipendenti che necessitano di cure ulteriori e specifiche.
Le condizioni degli istituti penitenziari italiani non riescono ad assicurare le misure indispensabili per contrastare l’avanzata del virus: distanza di sicurezza di almeno un metro, sanificazione degli ambienti ed igiene personale. Mancano inoltre i dispositivi di protezioni personale, sia per i detenuti che per coloro che lavorano all’interno delle carceri. Tutto ciò rischia di rendere gli istituti penitenziari una vera e propria “bomba sanitaria” [4] pronta ad esplodere se non accuratamente disinnescata. Non si deve considerare il carcere come un luogo chiuso ed impermeabile al virus: operatori sanitari, volontari, appartenenti alla polizia penitenziaria, parenti, personale amministrativo ma anche gli stessi detenuti ammessi ad una misura alternativa alla detenzione (come la semilibertà) continuano ad entrare ed uscire dal carcere essendo costantemente in comunicazione con l’esterno e viceversa
Siamo, quindi, veramente sicuri di tralasciare, ancora una volta, la questione del carcere e non intervenire prontamente per evitare il rischio di un contagio reciproco e di migliorare – anche, ma non solo per questo – le condizioni di vita tra i detenuti?
Anche altri Stati, europei e non, si stanno interrogando su questa problematica: negli Stati Uniti, gli istituti delle città di New York, Los Angeles e Cleveland hanno deciso di rilasciare progressivamente i detenuti vulnerabili o coloro che hanno commesso crimini minori[5]; in Spagna non è più permesso effettuare colloqui parentali, senza la predisposizione di una barriera di vetro che separa detenuti e parenti, ma si sono aumentate le ore per i contatti a distanza[6]; in Francia si è optato per il differimento dell’esecuzione per le pene detentive, diminuendo l’ingresso in carcere di nuovi detenuti[7]; in Germania vengono impedite le visite e si posticipa l’ingresso in carcere per soggetti condannati di una pena minore[8]; infine nel Regno Unito per ora non si è ancora presa alcuna misura salvo l’idea di isolare il singolo istituto penitenziario nel caso di un contagio diffuso al suo interno[9].
In Italia, i decreti – legge, che si susseguono ormai settimanalmente dall’inizio dell’emergenza, si sono per ora limitati a chiudere le carceri: possono uscire, a particolari condizioni e in regime di detenzione domiciliare con eventuale controllo di un braccialetto elettronico, solo coloro a cui mancano 18 mesi di pena e sono stati previsti degli speciali permessi premio per chi è sottoposto ad un regime di semilibertà ma ulteriori permessi premio e la concessione di nuove misure alternative vengono sospesi fino a fine maggio. Inoltre, coloro che sono all’interno non possono più ricevere visite, viene solo concesso di poter contattare i propri parenti in maniera telefonica[10] o comunque in via telematica.
In sintesi, gli istituti penitenziari vengono chiusi, ma non per questo le mura che li circondano vengono rese impermeabili al coronavirus, dal momento che ogni giorno vi transitano un numero molto elevato di persone.
Le misure attuate fino ad ora non sono quindi in grado di affrontare seriamente questa emergenza al contempo sanitaria e penitenziaria.
L’Associazione italiana dei professori di diritto penale (AIPDP)[11] ritiene, con un documento sottoscritto all’unanimità dai suoi iscritti, di attuare delle misure atte a contrastare il sovraffollamento, a migliorare le condizioni della detenzione e, di conseguenza, impedire il contagio all’interno delle carceri. Tra di esse, si chiede: di differire fino al 30 giugno 2020 l’esecuzione di pene detentive fino a quattro anni; di permettere a chi ha una pena residua pari o inferiore a due anni di eseguire, se possibile[12], la pena presso il proprio domicilio; di innalzare il termine di liberazione anticipata a 75 giorni a semestre; di consentire ai semiliberi e a coloro ammessi al lavoro all’esterno, che abbiano dimostrato la propria buona condotta, di permanere presso il proprio domicilio o luogo di assistenza; di utilizzare gli arresti domiciliari in luogo della custodia cautelare, che già dovrebbe essere l’extrema ratio, attraverso l’introduzione di una disciplina temporanea che obblighi il giudice a tener conto dell’emergenza sanitaria presente nella valutazione dell’esigenze cautelari; infine, di individuare delle misure ad hoc per quei detenuti che presentano aspetti di accentuata vulnerabilità individuale al contagio.
Le proposte dell’AIPDP non sono delle mere misure “svuota carceri”, ma corrispondono a delle soluzioni che, se attuate, consentono da un lato di impedire temporaneamente a coloro che hanno commesso un crimine non grave di entrare in carcere e, dall’altro lato, a chi ne ha la possibilità, nonché a chi ha dimostrato la propria avvenuta rieducazione, anche all’esito della quasi totale espiazione della propria pena, di proseguire la propria condanna in detenzione domiciliare. In questo modo si diminuirebbe la popolazione carceraria e si migliorerebbero, di conseguenza, le condizioni di vita all’interno degli istituti, garantendo il rispetto delle precauzioni igienico – sanitarie richieste a tutta la popolazione. La creazione di unità di crisi all’interno di ogni istituto, coinvolgendo rappresentanti di tutti gli operatori compresi i volontari, e il reclutamento di personale medico sanitario, possono, infine, impedire o quantomeno diminuire l’avanzata del coronavirus negli istituti penitenziari.
In definitiva, un’espansione all’interno degli istituti penitenziari, senza dimenticarci delle residenze per l’esecuzione di misure di sicurezza e dei centri di detenzione per il rimpatrio e di accoglienza per migranti, per le condizioni critiche attuali appena esposte comporterebbe delle conseguenze estremamente lesive del bene della salute non solo per i detenuti, ma anche per tutti coloro che si trovano all’esterno. Tutti dovrebbero essere messi nelle condizioni di non ammalarsi e di avere accesso a cure adeguate, anche i detenuti. Viste le ricadute che il contagio avrebbe sul sistema sanitario e la non impermeabilità al virus del carcere, siamo ancora sicuri di non voler interessarci del carcere e far finta che esso non esista?
[1] Per un approfondimento:
[2] Sul punto:
In particolare, guardando la situazione della Lombardia: << si registrano in alcuni istituti condizioni di sovraffollamento ancora più gravi. Qualche esempio: a Lodi al 31 dicembre 2019 erano presenti 77 detenuti per 45 posti; a Como 452 detenuti per 231 posti; a Brescia Verziano 130 detenuti per 71 posti, mentre nell’altro istituto della città i detenuti erano 323 per 189 posti; a Bergamo 487 detenuti per 321 posti; a Milano Opera 1334 detenuti per 918 posti; a Busto Arsizio 432 detenuti per 240 posti; a Varese 95 detenuti per 53 posti; a Monza 640 detenuti per 403 posti.>> (E. DOLCINI e G.L. GATTA, Carcere, coronavirus, decreto “cura Italia”: a mali estremi, timidi rimedi, in Sistema penale online)
[3] I giudici di Strasburgo hanno condannato l’Italia in violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (<< nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti>>) a causa della mancanza di spazio nonché di acqua calda, illuminazione e ventilazione all’interno delle carceri italiane. I giudici ritengono che <<la carcerazione non fa perdere al detenuto il beneficio dei diritti sanciti dalla Convenzione. Al contrario, in alcuni casi, la persona incarcerata può avere bisogno di una maggiore tutela proprio per la vulnerabilità della sua situazione e per il fatto di trovarsi totalmente sotto la responsabilità dello Stato. In questo contesto, l’articolo 3 pone a carico delle autorità un obbligo positivo che consiste nell’assicurare che ogni prigioniero sia detenuto in condizioni compatibili con il rispetto della dignità umana, che le modalità di esecuzione della misura non sottopongano l’interessato ad uno stato di sconforto né ad una prova d’intensità che ecceda l’inevitabile livello di sofferenza inerente alla detenzione e che, tenuto conto delle esigenze pratiche della reclusione, la salute e il benessere del detenuto siano assicurati adeguatamente. >> (Corte EDU, Sez. II, del 8 gennaio 2013, ric. Torreggiani ed altri, in Giurisprudenza penale online)
[4] Per un approfondimento: http://www.antigone.it/news/antigone-news/3284-coronavirus-sulle-carceri-insufficienti-le-norme-previste-nel-decreto-del-governo-sono-necessari-altri-provvedimenti-altrimenti-a-rischio-la-salute-pubblica
[5] https://www.bbc.com/news/world-us-canada-51947802
[6]https://elpais.com/espana/2020-03-12/interior-eleva-a-16-las-carceles-aisladas-para-evitar-la-expansion-del-coronavirus.html
[7]https://www.lemonde.fr/societe/article/2020/03/20/face-au-coronavirus-la-france-reduit-le-nombre-de-personnes-en-prison_6033755_3224.html
[8]https://www.ndr.de/nachrichten/hamburg/Coronavirus-Gravierende-Beschraenkungen-fuer-Gefangene,strafvollzug126.html
[9]https://www.theguardian.com/world/2020/mar/18/first-uk-prisoner-with-covid-19-confirmed-at-strangeways-manchester
[10] Si è fatto riferimento all’art. 8 co. 2 e co. 9 del d.l. del 8 marzo 2020 n.11 e agli artt. 123 e 124 del d.l. del 17 marzo 2020 n. 18
[11]Per consultare l’intero documento:
https://www.aipdp.it/documenti/AIPDP_Proposte_emergenza_carceraria_da_coronavirus.pdf.
[12] La normativa prevede numerose cause ostative da dover verificare per ridurre al minimo il rischio di commissione di nuovi reati. Sul punto: https://sistemapenale.it/it/opinioni/carcere-coronavirus-decreto-cura-italia-a-mali-estremi-timidi-rimedi#_ftn1