Ebbene sì, anche Monza ha un suo carcere. Molto spesso, nei dibattiti politici sulla sicurezza, nelle interrogazioni consiliari e nelle tematiche affrontate da assessori e sindaci, sembra quasi che ci si dimentichi che anche a Monza ce n’è uno.

La situazione al suo interno è pessima: “uno dei nodi di maggiori criticità è l’elevato tasso di sovraffollamento: l’ultima rilevazione indica la presenza di circa 630 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 340 posti. Il tasso di affollamento è del 239%. Il terzo letto, presente in tutte le celle delle sezioni a regime aperto, è una brandina che durante il giorno viene ripiegata e riposta sotto il letto a castello per consentire ai detenuti di raggiungere tavolo e bagno” (Antigone, per i diritti e le garanzie nel sistema penale, 2017).

“[…] uno dei nodi di maggiori criticità è l’elevato tasso di sovraffollamento: l’ultima rilevazione indica la presenza di circa 630 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 340 posti. Il tasso di affollamento è del 239%. Il terzo letto, presente in tutte le celle delle sezioni a regime aperto, è una brandina che durante il giorno viene ripiegata e riposta sotto il letto a castello per consentire ai detenuti di raggiungere tavolo e bagno” (Antigone, per i diritti e le garanzie nel sistema penale, 2017).

Oltre a ciò, una recente spedizione di quattro consiglieri comunali  (Izzo, 2018) ha rilevato come molti stabili che compongono il carcere necessitano di manutenzione. Alcuni di essi, come la sezione femminile, il reparto di osservazione psichiatrica e l’ultimo piano della caserma della polizia penitenziaria, sono state dichiarate inagibili, quindi inutilizzabili, a causa delle numerose infiltrazioni d’acqua dal tetto.

Su questi e su molti altri problemi, tra cui ricomprendiamo la mancanza di educatori, psicologi, funzionari ed organi di polizia penitenziaria, il Comune non ha un potere diretto di azione: una delle possibilità, come evidenziava il consigliere Pietrobon in aula, potrebbe essere quella di usare alcune risorse degli oneri di urbanizzazione per progetti mirati di manutenzione del carcere.

Nonostante la mancanza di una competenza diretta del Comune, non possiamo comunque dimenticarci e tralasciare il carcere. Questa tematica sarebbe di grande rilievo per la comunità monzese e per garantire la sua sicurezza. Investire sull’interazione e il contatto con la comunità, con le attività che dentro e fuori dal carcere essa può mettere in atto, è una parte fondamentale della rieducazione del detenuto.  Una tale riflessione dovrebbe essere messa in risalto nel dibattito politico attuale, specialmente riguardo le problematiche dell’instaurazione di una corretta sicurezza urbana.

Proposte che si concentrano solo sull’apparenza e sulla percezione, sul cosiddetto “decoro urbano”, come la proposta di legge numero 645 del 2001 presentata al Senato che chiedeva in maniera esplicita lo spostamento delle strutture carcerarie “il più possibile fuori dagli abitati e comunque fuori dalle zone di più intensa urbanizzazione cittadina”, non sono efficaci in questo senso. La sicurezza reale, quella vera, è una sicurezza che investe anche sulla rieducazione del detenuto, che incentiva il rapporto osmotico con la città e che investe sulla comunità e sul carcere. In questo modo si può diminuire il tasso di recidiva, quindi diminuire la pericolosità sociale di coloro che fuoriescono dal carcere e di conseguenza aumentare la sicurezza reale.

Basterebbe citare come esempio il carcere di Bollate che, con le sue numerose attività lavorative, formative ed educative all’interno ed all’esterno della struttura, attraverso il coinvolgimento di volontari e di cooperative, abbatte l’alto tasso di recidiva, pari al 69% su scala nazionale, fino ad arrivare ad un sorprendente 19% (La Stampa, 2017).

Il carcere di Bollate che, con le sue numerose attività lavorative, formative ed educative all’interno ed all’esterno della struttura, attraverso il coinvolgimento di volontari e di cooperative, abbatte l’alto tasso di recidiva, pari al 69% su scala nazionale, fino ad arrivare ad un sorprendente 19% (La Stampa, 2017).

Oppure potremmo parlare anche del famoso carcere di San Vittore, nel cuore di Milano. Il direttore aggiunto della casa circondariale, Teresa Mazzotta, sottolineava, in un suo intervento durante un congresso presso l’Università Cattolica, l’importanza di una struttura carceraria calata all’interno di un centro cittadino. Questa collocazione permette la costituzione di un rapporto osmotico con la città, permette al carcere di essere al centro della città e permette ai cittadini di interrogarsi sui problemi di una umana detenzione e di una corretta rieducazione. La posizione così centrale di un penitenziario non nasconde queste criticità, ma anzi le pone al centro dell’attenzione, sotto lo sguardo attento della comunità. Secondo i dati riportati dal direttore, l’amministrazione del carcere di San Vittore, nel centro di Milano, consente a circa 2000 persone all’anno di entrare al suo interno. La maggior parte di esse è legata ad associazioni di volontariato che svolgono all’interno dell’istituto attività che coinvolgono direttamente il detenuto; queste attività e questa attenzione della comunità, creano un legame tra il carcere e la città, un legame con il mondo esterno che porta alla rieducazione e alla risocializzazione.

Per questo LabMonza vuole sottolineare come il carcere con i suoi detenuti non siano delle realtà a sé stanti ed all’esterno della nostra comunità di cittadini. Per il bene della città e per una maggiore sicurezza urbana ci sono molte ricette alternative e più efficaci dei presidi concentrati in poche zone della città, anche inaspettate. Che il sindaco e la sua giunta studino le problematiche del carcere ed incentivino l’interazione tra la comunità ed esso per il bene di Monza e dei suoi cittadini.

Filippo Villa

Bibliografia

Antigone, per i diritti e le garanzie nel sistema penale. (2017, Marzo 31). Tratto da http://www.antigone.it/osservatorio_detenzione/lombardia/96-casa-circondariale-di-monza

Izzo, E. (2018, settembre 1). Radio Radicale. Tratto da https://www.radioradicale.it/scheda/550401/conferenza-stampa-di-gianni-rubagotti-marco-lamperti-francesca-pontani-e-marco

La Stampa. (2017, febbraio 27). Tratto da La maggior parte di esse è legata ad associazioni di volontariato che svolgono all’interno dell’istituto attività che coinvolgono direttamente il detenuto; http://www.lastampa.it/2017/02/27/italia/lex-direttrice-cos-ho-fatto-crollare-le-recidive-ZV7ofUZL3

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