“Il Piano di governo del Territorio non è un semplice strumento legale, ma un’idea di città”. Questo il giudizio unanime emerso durante l’evento “La nuova variante al PGT” organizzato da LabMonza con ospiti il Consigliere Comunale Marco Lamperti, il Portavoce del Coordinamento dei Comitati Cittadini Giorgio Majoli e l’architetto Christian Novak.

Idea di territorio che l’ipotesi di Variante al PGT recentemente approvata dalla Giunta (e che dovrà ora ricevere il vaglio della Valutazione Ambientale Strategica e passare dalla adozione e poi approvazione in Consiglio) ha deciso di accantonare in una nicchia, dove non potrà nuocere agli interessi dei costruttori.

Il Piano di Governo del Territorio (PGT) è lo strumento di pianificazione urbanistica comunale con cui un’amministrazione progetta e norma lo sviluppo territoriale futuro della città. Esso è strutturato per far sì che il territorio urbano si sviluppi in maniera sostenibile, per il  benessere dei cittadini.

Il PGT si compone di tre parti: il Documento di Piano (DdP), il Piano dei Servizi (PdS) ed il Piano delle Regole (PdR). Il Documento di Piano ha validità quinquennale, mentre il Piano dei Servizi e il Piano delle Regole non hanno scadenza  L’Amministrazione comunale ha facoltà di operare delle Varianti a tutti e tre i documenti, andando a modificare aspetti normativi, attuativi, prescrittivi e indicativi degli interventi urbanistici.

Tramite le varianti i Comuni possono adattare il Piano, in modo da adeguare lo sviluppo urbanistico alle mutevoli criticità che si incontrano con il passare del tempo, in particolare per quanto concerne il PdS e il PdR. Purtroppo, altrettanto spesso le amministrazioni fanno un uso scellerato di questo strumento, favorendo gli interessi degli operatori immobiliari più che quelli della cittadinanza o promuovendo la monetizzazione degli oneri di urbanizzazione per fare cassa.

Lo scorso 30 ottobre la Giunta ha approvato l’ipotesi della cosiddetta “variante Allevi”.

La volontà che traspare è di presentare questa Variante come una modifica poco invadente, che vada a toccare solo la parte normativa del documento per renderlo più “smart”. Peccato che quelle che si presentano come inutile burocrazia e noiose lungaggini sono le fondamenta di un complesso sistema che consente uno sviluppo urbano equilibrato, tra l’edilizia residenziale (la più remunerativa per i costruttori), quella produttiva e la dotazione di servizi per le persone. 

Questa irruenta manovra di “deregulation urbanistica” presenta infatti diverse criticità, tutte esaminate nel corso dell’evento.

Una su tutte la trasformazione di una lunga serie di aspetti prescrittivi in aspetti indicativi. La polifunzionalità che deve caratterizzare gli interventi urbanistici sulle aree di trasformazione diventa qualcosa di opinabile: sarà infatti sufficiente riservare alla funzione principale solo il “50%+1” della superficie, scenario che apre la strada a manovre inquietanti. Si pensi per esempio, come ricordato da Novak, alla Fossati Lamperti: zona industriale dismessa la cui finalità produttiva va assolutamente tutelata. Secondo la Variante sarà possibile riservare a destinazione produttiva la metà della superficie, destinando il resto alla ben più redditizia residenza. Senza contare che  i futuri inquilini si ritroverebbero in un luogo completamente cementificato, scarsamente collegato, privo di marciapiedi, di verde e di attività commerciali nelle quali approvvigionarsi.

Tutti i modelli che intendono creare una città a misura d’uomo vengono meno. Niente più Ville du quart d’heure, in cui tutti i cittadini possono trovare ciò di cui hanno bisogno in un raggio di 15 minuti in bicicletta; niente più Green Infrastructure, che trasformi la città da matrice grigia con episodi verdi a matrice verde con episodi grigi; niente più riappropriazione degli spazi da parte dei cittadini, che saranno ancora una volta costretti a utilizzare il suolo pubblico come un corridoio per spostarsi tra luoghi privati.

Gli interventi urbanistici che consumano suolo prevedono la cessione di superfici per compensare l’inevitabile impatto ambientale dell’edificazione relativo alla sottrazione di aree verdi e all’impermeabilizzazione dei suoli. Esiste, per il Comune, la possibilità di convertire la cessione di superfici in un costo economico per l’impresa costruttrice, ma la logica di questo genere di provvedimenti è figlia di un tempo andato in cui l’intervento ambientale compensativo era vantaggiosamente condotto sotto la responsabilità del governo cittadino. Quello messo in atto oggi pare solo l’ennesimo maldestro tentativo di racimolare denaro (intento dichiarato sin dagli albori di questa Amministrazione) per ripianare il bilancio, a scapito però della vivibilità della città.

Troviamo anche un depotenziamento degli incentivi che premiano gli interventi conservativi in aree dismesse di valore architettonico. Le premialità vengono dirottate verso le ben più allettanti e già iper-incentivate energie rinnovabili.

Naturalmente le energie rinnovabili sono fondamentali e la loro realizzazione va incoraggiata.  Ma il diavolo sta nei dettagli! Sebbene  rappresentino una fantastica opportunità a livello ambientale, in questo caso occorre interlacciare il concetto di ecosostenibilità con quello di urbanistica. Per farlo, dobbiamo rispolverare il concetto di sostenibilità come punto di incontro fra sostenibilità ambientale, economica e sociale. Le case più “green”, in classe A+++, sono riservate ad acquirenti afferenti a fasce di reddito alte e sottendono ampie metrature: quindi richiedono molta più energia per essere riscaldate o raffreddate nel corso dell’anno, annullando di fatto il beneficio derivante dall’energia pulita. Aggiungiamo a questo aspetto il fatto che con gli incentivi volumetrici viene aumentato anche il numero di piani che possono essere costruiti e otteniamo volumi abitativi esorbitanti con tetti relativamente piccoli, che non possono così ospitare tanti pannelli solari.Già così si coglie come la sostenibilità ambientale claudichi, ma c’è di più. Tutto ciò avviene edificando aree che avrebbero potuto essere impiegate per fornire servizi, garantendo sostenibilità economica, o ERP, garantendo sostenibilità sociale: cosa che non avviene, visto che la polifunzionalità delle aree nella presente Variante non è che un lontano ricordo. Insomma, un altro tentativo fallito di nascondere un intento che nulla ha a che vedere con il bene per la città dietro ad una cortina di ambientalismo in realtà deforme ed equivoco.

Nulla di cui stupirsi a dire il vero visto che il documento, coerentemente con la cecità dei suoi fautori in ambito di sostenibilità, si ostina a considerare quest’ultima come qualcosa di compartimentalizzato, da affrontare per settori. Da decenni invece è assodato che sostenibilità ambientale, sociale ed economica sono indissolubilmente legate e devono essere perseguite considerando gli impatti che l’una ha sulle altre due.

Tutto è perduto? Assolutamente no. Infatti la Variante deve ancora passare il vaglio della Valutazione Ambientale Strategica e del Consiglio comunale.L’iter è lungo, perché la proposta di variante dovrà essere prima adottata e poi, dopo aver raccolto e discusso le osservazioni dei cittadini, approvata. Purtroppo gli emendamenti presentati dai Consiglieri e i pareri della giunta sulle osservazioni dei cittadini sono votati a maggioranza assoluta, quindi la sola opposizione istituzionale non può da sola tutelare la città da questo documento che prefigura per Monza più cemento e meno verde. L’unica possibilità da questo lato, è  fare ostruzionismo per rallentare il più possibile i lavori del Consiglio e nel contempo cercare di aprire delle crepe all’interno dell’attuale maggioranza, facendole perdere compattezza e determinazione rispetto all’approvazione della variante. Questo almeno fino alle prossime elezioni, quando la maggioranza potrebbe cambiare radicalmente, permettendo la redazione di una Variante che migliori il PGT vigente invece di stravolgerlo.

Anche i cittadini, le associazioni e le forze politiche esterne al Consiglio Comunale possono essere decisivi: sensibilizzare la cittadinanza, mobilitarsi con iniziative pubbliche e manifestazioni, fare pressioni sulla giunta e sui Consiglieri di Maggioranza perché desistano dalle proprie posizioni è fondamentale. Il Comune è tenuto a rispondere a tutte le osservazioni che pervengono dai residenti con controdeduzioni e un’ampia mobilitazione in questo senso può ricordare alla maggioranza che il governo di Monza deve sempre avvenire in funzione della qualità di vita dei suoi abitanti e non degli interessi di immobiliaristi o costruttori.

Lorenzo Spedo

Foto di Fabrizio Radaelli tratta da Il Cittadino di Monza e Brianza