Il 4 Marzo scorso in numerose piazze d’Italia e del mondo, tra cui anche Monza, si è tenuto lo sciopero globale contro i cambiamenti climatici. Un evento che ha unito milioni di giovani da tutto il mondo in un’unica richiesta, in un’unica grande lotta contro l’inquinamento. Un evento che non è rimasto isolato ma che ha segnato il passo di una mobilitazione che sta proseguendo, a Monza come in tutta Italia e nel mondo [seguite la pagina di Fridays for Future Monza per restare aggiornati!, per raggiungere il proprio obiettivo.
Personalmente ho partecipato a questa importante manifestazione e sono sinceramente colpito dalla quantità di giovani che si sono riuniti in piazza Trento e Trieste.
Ed è così che da qualche giorno sto riflettendo a mente fredda su questo importantissimo problema. Questo spunto di riflessione, tratto da una mia esperienza personale, è nato da queste riflessioni.
Qualche anno fa sono partito per un’esperienza di volontariato in Kenya, a Nairobi. Nairobi è una delle città più popolose dell’Africa, conta all’incirca 5 milioni di abitanti. Come tutte le grandi città produce rifiuti, rifiuti che a differenza delle grandi aeree metropolitane occidentali non vengono smaltiti, non vengono differenziati; ciò che viene fatto nella maggior parte dei casi è impilarli ai cigli delle strade, su quelli che dovrebbero essere marciapiedi, e incendiati. Una pratica molto comune che rende l’aria a Nairobi praticamente irrespirabile. Viene bruciato tutto insieme, plastica, carta ed umido.
A questo punto le ceneri vengono sotterrate nei campi vicini, rendendo la terra ancora più tossica. Scavando nella terra nei dintorni di Nairobi si scopre tutte la plastica che non viene bruciata. Il terreno è contaminato, non c’è differenziata, non ci sono cestini, la spazzatura prodotta viene gettata per strada, nei fiumi, nei campi liberi. Camminando si calpestano strati e strati di rifiuti, abbandonati ai margini delle strade.
Per chi può permetterselo esiste però un servizio di recupero rifiuti: anche in questo caso la situazione non migliora. Tutto quello che viene raccolto viene portato nella discarica a cielo aperto più grande del mondo: Korogocho. Una distesa grande quanto il Parco di Monza, con delle colline fatte solo ed unicamente da rifiuti. Qui si che l’aria è veramente irrespirabile. I rifiuti bruciano per autocombustione creando delle nuvole di fumo tossico; per non parlare dei liquami che scendono dalle colline fino all’unico fiume della città, che bagna tutti i campi coltivati.
Questo non è certamente il mondo in cui vorrei vivere, nei paesi in via di sviluppo la situazione inquinamento è ormai drammatica. Da questo punto di vista, possiamo certamente ritenerci fortunati. Non viviamo quella realtà. Ma in certo senso siamo anche noi complici di tutto ciò: abbiamo creato un sistema che produce enormi scarti i cui costi ambientali vengono scaricati su qualcuno lontano da noi, che non ha i nostri stessi mezzi per risolvere il problema. Tutto ciò però una dimensione globale e che quindi ci riguarda direttamente. Il Mondo in cui viviamo è uno solo.
Volevo però lasciarvi con una domanda: ci sono circa 10000 persone, poverissime, che, ogni giorno, setacciano la discarica di Korogocho alla ricerca di plastica e metalli per rivenderli e si appropriano di alimenti per il loro sostentamento. Se la discarica chiudesse, cosa ne sarebbe di queste persone? Come è possibile risolvere questa situazione, senza stravolgere la vita degli abitanti di Korogocho?
N.B.
Questa situazione non è in realtà molto distante dalla nostra esperienza italiana. Se pensiamo all’Ilva di Taranto, con le dovute proporzioni, affrontiamo lo stesso problema. Stiamo parlando di un sito altamente inquinante con migliaia di persone che, se lo stabilimento dovesse chiudere, si troverebbero senza lavoro e senza modalità per sostenere sé stessi e le loro famiglie.
di Filippo Villa