Spopolano sul web, ormai da qualche giorno, le foto delle nostre città deserte ma pullulanti di vita; mai come ora l’opera umana viene a fondersi con la natura che ricomincia lesta la sua avanzata nelle giungle di cemento, proprio in quei luoghi da cui per tanto tempo abbiamo provato a escluderla, regalandoci scenari ormai dimenticati: cigni nei navigli milanesi, delfini nel porto di Cagliari, pesci nei rii veneziani. Un’avanzata silenziosa e inesorabile catturata dalle fotocamere e dagli smartphone di coloro che, anche in questo momento, decidono di fermarsi ad ammirare.
Questo è solo il più evidente degli effetti ambientali delle misure di contenimento dell’epidemia di Covid-19, ma indagando più a fondo si possono trovare le evidenze di un cambiamento invisibile nel nostro paese.
Le misure restrittive al Nord Italia hanno ridotto sensibilmente l’utilizzo di automobili di piccola taglia e altri mezzi di trasporto pubblici e non (treni, autobus, aerei)e hanno comportato lo spegnimento dell’impianto di riscaldamento della maggior parte delle attività commerciali e delle scuole.
Ciò ha implicato una riduzione delle emissioni di inquinanti in atmosfera che verranno ancor più duramente abbattute dalle nuove e più che mai restrittive misure di contenimento.
Parlare di abbattimento delle emissioni di CO2 (ricordiamo che in questo ambito con il termine CO2 si intendono in realtà tutti i gas serra che vengono convertiti tramite coefficienti) e di particolato atmosferico non significa parlare di abbattimento delle loro concentrazioni in atmosfera. Smettere di produrre particolato atmosferico è una condizione necessaria ma non sufficiente alla riduzione della sua concentrazione in atmosfera. L’allontanamento delle polveri sottili è da imputare alle condizioni atmosferiche, particolarmente pioggia e vento, quindi smettere di produrne non è abbastanza per liberarsene.
Il clima -ahimè- ha memoria da elefante e non basteranno settimane o mesi di contenimento a fargli dimenticare decenni di inquinamento indiscriminato; il riscaldamento climatico è una tematica di interesse mondiale e l’azione su piano locale e congiunturale non può arrestarlo, necessita di misure strutturali di lungo periodo. L’inquinamento, tuttavia, non è solo un problema ambientale: i provvedimenti attuali acquistano una grande importanza sul piano sanitario grazie alla diminuzione di concentrazione degli ossidi d’azoto. Queste molecole, in particolare il biossido di azoto NO2 sono stati interessati, come mostrano i rilevamenti da satellite della European Space Agency, da un drastico calo del 10% in questi giorni.
Sì tratta di molecole pericolose per la salute umana in ogni circostanza, ma in questo momento la qualità dell’aria sembrerebbe avere un effetto anche sulla diffusione della malattia da Coronavirus. La concentrazione di inquinanti nell’aria, in effetti, è un fattore in grado di influenzare l’attività dei “macrofagi alveolari” (cellule che si occupano dell’eliminazione di particelle, microbi e batteri che riescono a raggiungere i polmoni) e dei globuli bianchi del sangue, che vedono ridotta la loro capacità di combattere infezioni a seguito di lunghe esposizioni a dosi di inquinanti. Inoltre, alcune particelle si depositano nei polmoni senza poter essere eliminate, rendendo permanente la suscettibilità a tali malattie.
In aree caratterizzate dalla presenza di alti tassi di inquinamento atmosferico (come la nostra “verde” Brianza) aumenta il rischio di contrarre malattie di carattere respiratorio (di questo argomento si tratta molto approfonditamente nell’ European Lung White Book, pubblicato dalla European Respiratory Society. In passato è stato dimostrato che la probabilità di contrarre diversi morbi respiratori aumenta al diminuire della qualità dell’aria. Non sono appurati, per il momento, legami diretti tra la qualità dell’aria e la gravità di Covid-19, ma è evidente il fatto che i soggetti infetti da Covid-19 già interessati da patologie polmonari sono esposti a un rischio di morte molto più elevato.
Inoltre, SIMA (Società Italiana di Medicina Ambientale) ha pubblicato un position paper in collaborazione con le università di Bari e Bologna che attribuisce al virus la capacità di sfruttare (e si tratta di un meccanismo già comprovato rispetto alla diffusione di altri patogeni) il particolato atmosferico come vettore, agendo come trasportatore del patogeno da una parte e come substrato dello stesso dall’altra, garantendone una prolungata sopravvivenza al di fuori dell’ospite. L’alta concentrazione di PM 10 nel mese di febbraio sembrerebbe quindi aver rappresentato un fattore favorevole alla diffusione del patogeno.
Per completezza occorre precisare che IAS (Società Italiana di Aerosol) ha a sua volta pubblicato un’informativa in cui conclude che è da considerarsi, allo stato attuale delle cose, inadeguata l’adozione di misure di contenimento dell’inquinamento come mezzo per combattere il contagio.
A parte gli aspetti che riguardano l’attuale situazione di emergenza, ci sono due semplici ma potenti considerazioni da fare sul lungo periodo:
1. abbassare il livello di inquinamento farà bene alla salute di tutti anche una volta che l’epidemia in corso sarà stata scongiurata
2. alcune delle misure prese in questo particolare momento di storica portata possono essere mantenute traendone beneficio da un punto di vista ambientale, sanitario ed economico.
In particolare, l’adozione della metodologia smart working su vasta scala potrebbe rivelarsi una mossa vincente.
Il mantenimento del lavoro da casa mediato da dispositivi informatici comporterebbe, una volta ripristinata la nostra routine, una riduzione dell’impatto ambientale del comparto produttivo: verrebbero ridotte le emissioni di inquinanti dovuti agli spostamenti e all’uso degli spazi aziendali.
Sfortunatamente questo sistema, anche valutato sul lungo periodo, non comporta un abbattimento dei costi ambientali tale da contrastare da solo gli effetti del surriscaldamento terrestre, ma è una soluzione applicabile in tempi brevi e che porta, come abbiamo visto, diversi vantaggi su fronti anche non strettamente ecologici. La limitazione delle emissioni di NOx, come abbiamo visto, viene repentinamente abbattuta dalla riduzione dell’attività dei motori a combustione (automobilistici e per il riscaldamento), e anche se lo smart working non comporterà in futuro una contrazione dell’uso dei trasporti pari a quella causata dall’epidemia, potrà comunque fare la sua parte nella riduzione della concentrazione atmosferica di ossidi d’azoto e particolato. Senza contare che in futuro una strutturata implementazione della metodologia di lavoro agile ci aiuterebbe nel malaugurato caso di dover fronteggiare una nuova epidemia.
Lorenzo Spedo

